La donna che rise di Dio by Roberto Mercadini

La donna che rise di Dio by Roberto Mercadini

autore:Roberto Mercadini [Mercadini, Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788831811750
editore: © 2023 Mondadori Libri S.p.A., Milano / RIZZOLI LIBRI


Le donne che vinsero la guerra

Tutti i popoli antichi hanno un re. Gli Israeliti no. Il motivo è essenzialmente mistico, anche se possiede una sua coerenza logica. Le leggi di Israele sono state dettate a Mosè direttamente da Dio. Pertanto non può esserci un monarca, perché non può esserci qualcuno che abbia il potere legislativo, vale a dire il potere di modificare, cancellare, aggiungere leggi. Equivarrebbe alla presunzione blasfema di poter migliorare qualcosa che è stato concepito dalla mente di Dio. Chi guida il popolo, allora? Nessuno. Oppure un capo carismatico, che sorge spontaneamente, senza essere eletto né tantomeno aver ereditato il titolo. Qualcuno che compie un atto eroico e che il popolo segue sull’onda dell’ammirazione e dell’entusiasmo. Costui riceve il titolo di shofèt, alla lettera “giudice”, dal verbo shafàt, che significa, appunto, “giudicare”, ma anche “governare”. Viene citato, per esempio, tale Samgar, di cui non si sa quasi nulla, ma si conserva il ricordo di una prodezza mirabile quanto disperata: uccise ben seicento Filistei armato soltanto di un pungolo da buoi.

Naturalmente ogni tanto qualcuno tenta di convertire questa specie di “anarchia teocratica” in una monarchia. Avviene infatti che il popolo chieda al giudice Gedeone di diventare re. Ma Gedeone rifiuta. Ora, egli, pur non essendo re, in pratica è ricco e potente come un re: ha molte mogli. Ma le molte mogli, evidentemente, non gli bastano, per cui tiene a corte anche una concubina. Le molte mogli gli danno settanta figli; la concubina uno solo, Abimelekh. Il nome di costui è significativo, perché in ebraico significa “mio padre è re”. Abimelekh pensa davvero che suo padre sia un re. Ma soprattutto pensa che, alla morte del padre, il trono spetti a lui. Così, quando Gedeone tira le cuoia, si mette al lavoro. Convince gli zii materni a prestargli denaro, con quel denaro assolda un manipolo di sfaccendati violenti e con il loro aiuto uccide i suoi settanta fratellastri e si proclama re della città di Sichem. Una sola città, non tutto Israele. Perché una sola città e perché proprio quella? Al solito, dal testo non abbiamo risposte.

Sappiamo però che in seguito re Abimelekh stringe d’assedio un’altra città, la cananea Tebez. Riesce a penetrare dentro le mura, e in mezzo alla città trova una torre fortificata, dentro la quale hanno trovato riparo in molti. È impaziente di prenderla e compie un gesto incauto: si avvicina alla porta per darla alle fiamme. Ma una donna, dall’alto dell’edificio, gli scaglia addosso un blocco di pietra. Lo centra in testa e lo ferisce a morte. Allora Abimelekh ordina al suo scudiero di dargli il colpo di grazia il più presto possibile, perché non si possa dire di lui: “Ishà haragàthu”, “Lo ha ucciso una donna”. Questa è, nel momento estremo, la preoccupazione più urgente del re: difendere il suo onore dall’accusa infamante di essere stato ammazzato da una femmina. A tanto arrivava la misoginia del tempo.

Mosè che riceve le Tavole della legge da Dio, i giudici che governano Israele, Samgar che uccide seicento nemici, Gedeone, Abimelekh.



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